Jung considerò la cultura indiana non per le opposizioni personale/impersonale o soggettivo/oggettivo, ma centrando la sua attenzione sul rapporto tra la consapevolezza personale e la Kundalini, le quali non si presentavano come una cosa sola: gli Dei erano completamente diversi dagli esseri umani.
 Era perciò necessario vivere, e stabilizzare, una presenza di salda consapevolezza del mondo prima che fosse possibile che il distacco gradualmente emergesse permettendo che l’altra, oggettiva realtà si connettesse con il conscio.







Carl Gustav Jung ha introdotto nella psicanalisi questioni cruciali sulla religione e sull’anima.
I viaggi di Jung in Africa ed in India gli permisero di confermare le sue scoperte sull’inconscio, giacché egli vide infatti nei processi culturali delle società pre-europee ancora intatte che incontrò, la prova visibile del funzionamento dell’inconscio. Si veda ad esempio la sua descrizione di come fosse possibile rintracciare nei miti dei Pueblo l’emergere della coscienza che avanza, dopo oscuri ed incerti inizi, attraverso una serie successiva di spelonche fino alla superficie terrestre, rischiarata dalla luce del sole e della luna. Questa descrizione è vista in parallelo con il sistema dei chakra descritto dal Kundalini Yoga, come sviluppo della vita impersonale.


Jung era evidentemente al corrente dell’esistenza di testi inerenti a tali argomenti. Conosceva le traduzioni dal sanscrito di Arthur Avalon; conosceva il testo cinese “Il Segreto del Fiore di Loto” un manuale taoista tradotto da Richard Wilhelm, una figura chiave nella vita di Jung. La profonda conoscenza che Wilhelm aveva dell’esoterismo cinese consentì a Jung di formulare un gran numero di concetti psicologici basilari, tra cui la teoria della sincronicità (la concatenazione di eventi legati ad un solo significato).
L’interpretazione di Jung del processo di risveglio della Kundalini non scaturì però da alcuna teoria. Fu la costante attenzione che egli pose agli indizi del movimento di questa energia nella vita psichica dei propri pazienti a dargli dei segni coerenti dell’emergere di una dimensione impersonale, definita come Inconscio Collettivo.
Egli era perfettamente consapevole dei pericoli derivanti dall’ego che, per effetto degli stimoli provenienti da contenuti inconsci, si può gonfiare fino al punto da creare veri e propri squilibri psichici. Identificazioni temporanee possono causare all’ego dei sintomi di momentanea follia, mentre delle identificazioni più prolungate possono causare la schizofrenia.
Le teorie del pensiero indiano, d’altra parte, tracciavano una chiara distinzione tra il sé transitorio e quello permanente, distinzione che può essere percepita e compresa solo nello stato di distacco.
Jung descrive come le deità sono state ridotte a mere funzioni della mente dall’uomo europeo o moderno, così efficientemente focalizzato sul mondo esteriore: ‘nevrosi dello stomaco, calore della vescica, semplici disturbi di un mondo sommerso’. Gli Dei assopiti agitavano le viscere della terra, poiché l’idea di Dio nella vita conscia è remota, astratta e, secondo una moderna teologia, di fatto morta.
Il Sé è la sola realtà fondamentale a cui l’uomo può attingere.
Nelle culture di civiltà pre-europee è riflessa l’identificazione con i vari livelli dei chakra. Fu comunque grazie al suo paziente, attento districare la vita psichica dei pazienti, al seguire i loro viaggi interiori versò il Sé impersonale – processo che egli chiamò processo di individuazione – che Jung fu in grado di determinare l’esistenza della Kundalini.


“Attivare l’inconscio significa risvegliare il divino, la devi, Kundalini, significa dare inizio allo sviluppo del sovra-personale all’interno dell’individuo per accendere la luce degli dèi: Kundalini… è il sovra-personale, il non-Io, la totalità della psiche, e soltanto grazie a lei possiamo raggiungere i chakra più alti in senso metafisico e cosmico” (Jung – La psicologia del Kundalini-Yoga – Bollati Boringhieri, pag. 114, 115).




Egli fece delle osservazioni in merito ai chakra basate su verifiche sperimentali e su esperienze concrete. Arrivò così alla conclusione che la dinamica dell’attività della maggior parte della gente comune si limita ai tre centri più bassi: val dal Mooladhara (letteralmente dal sanscrito significa ‘supporto della radice’) nel quale si stabilizza l’esistenza, passa poi attraverso lo Swadhisthana (la creatività che si manifesta nella personalità) ed arriva infine nel Manipur o nel Void (centro di emozionalità). Quest’ultimo è il Mar Rosso del Vecchio Testamento, il cui attraversamento, per raggiungere poi il cuore (Anahata), richiede la disciplina del guru, sia a livello individuale che collettivo. A livello del cuore, il primo annuncio del Sé produce consapevolezza, il Purusha, l’uomo come essere eterno la cui sottile fiamma stabilizza la percezione della realtà oggettiva.
Se, come suggerì Jung, un sufficiente numero di persone riuscisse a connettersi con questo livello, le psicosi di massa dell’era moderna potrebbero sparire d’incanto.
Jung vedeva ciascun chakra come, di per sé, un intero mondo. A livello del Mooladhara chakra, per esempio, c’è la terra, il nostro mondo conscio, ma è anche il luogo dove gli istinti e i  desideri sono per gran parte inconsci, è il livello che consente uno stato di partecipazione mistica. La ragione può fare poco: le tempeste della sfera emotiva o (all’esterno) guerre e rivoluzioni possono spazzarne via l’intero frutto da un momento all’altro. La pazzesca elaborazione di armi sempre nuove nel mondo moderno, non è altro che un tentativo di contenere o annientare la minaccia che viene dagli impulsi provenienti dai centri inferiori. Il guaio è che esse ne sono proprio la diretta espressione!
Jung rintracciò nei suoi pazienti diversi livelli di individuazione, elaborati attraverso il sogno e simbolo, e scoprì che questi livelli corrispondevano ai diversi stadi degli antichi culti misterici. Nel battesimo egli vide un riflesso di quel rischioso viaggio che è di per sé l’analisi, essendo il battesimo un simbolico annegamento per inaugurare una nuova vita.


Jung si rese conto che per risvegliare l’attività dello Swadhistana chakra, doveva essere risvegliata la Kundalini stessa, ma si rese anche conto che questi fenomeni erano del tutto spontanei e senza alcun rischio, diversamente da come accade quando se ne ricerca il risveglio attraverso le pericolose tecniche del tantrismo, dove l’elevata e ispirata idea di Shakti, la pura Kundalini, è degradata al prosaico errore del culto sessuale.
Jung non praticò mai alcuna forma organica di meditazione, ma ritenne che l’attenzione, raccolta in livelli più profondi, attraverso il moto del sé inconscio, poteva causare il risveglio della Kundalini. Inoltre, il moto dell’anima che ci guida alle profondità dell’inconscio, fu da lui riconosciuto come una forma immaginaria proiettata dalla Kundalini e con essa identificata.
Jung identificò i diversi simboli che rappresentano i chakra con il suo sistema. Il Mooladhara con la sua immagine dell’elefante (il Ganesha degli Indù) viene visto come una struttura quadripartita di funzioni fisiche (il chakra in effetti ha quattro petali) e che corrisponde con il mondo della consapevolezza.
Il Cuore, con il suo simbolo del cervo, proietta immagini di leggerezza dell’essere, di agilità e di elevazione.
Per quanto riguarda gli altri chakra (quello del Vishuddhi, quello dell’Agnya e quello del Sahasrara) Jung disse poco eccetto che, quando questi centri sono sviluppati, “essi sono così al di sopra dell’ordinaria consapevolezza che il pensiero non può gettare alcuna luce su di essi”.
In sostanza egli venne alla conclusione che, dal punto di vista delle Deità (le grandi figure archetipe) il mondo è meno che un gioco da bambini, un seme, una mera potenzialità per il futuro.


La grande maggioranza della gente che passa attraverso la vita senza risvegliarsi e senza rendersi conto della Verità, è vittima delle circostanze esteriori e delle pulsioni interiori. Questa gente, in realtà, non vive affatto e ritorno nell’inconscio universale.

 Per citare Socrate: “Una vita che non venga scrutata (per conoscere la verità) non vale la pena di essere vissuta”.


Secondo Jung, il risveglio della Kundalini, da una semplice potenzialità può diventare “il punto di partenza per un mondo totalmente diverso dal nostro: un mondo infinito”.



 Questo è quanto. Ma vogliamo
sottolineare ancora una volta l’importanza del pensiero junghiano, perché esso
non è solo teorico, ma , (come quella di “Il Percorso Profondissimo “) anche frutto di conoscenza personale. La prova, oltre
che dall’opera omnia e dalla dettata autobiografia junghiana, ci viene offerta
da una semplice frase che Jung pronuncia nel corso dei “Commenti di Jung
alle conferenze in tedesco di Hauer“:
“Il pensiero indiano ha rappresentato per me un mezzo per spiegare delle
esperienze personali”
(Pag. 129 op. cit.). Grazie, Natale Missale.
Roma, 29 Agosto 2008.



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Articolo a cura  di Il Percorso Profondissimo

Fonti :John Henshaw tratto dalla rivista Knowledge of Reality
Jung e il Kundalini-Yoga di Natale Missale