E così, la nona carta degli arcani maggiori, quella de L’Eremita, rappresenta graficamente sia il buio, di una notte coperta di inverno (senza sole ma anche senza luna o stelle), che la luce, anche se fioca e traballante come quella di una vecchia lanterna.
 

Il numero della carta (il 9), nei tarocchi è collegato al passato; e in effetti la direzione verso cui guarda l’anziano uomo è proprio quella che, nelle carte, rappresenta, lungo la linea temporale (da sinistra verso destra) il passato. La lanterna, rappresentante la luce della sua coscienza e della consapevolezza maturata nel tempo (i suoi numerosi anni) è sorretta dalla mano sinistra, quella della mente. Questo dettaglio sembra volerci suggerire che se il presente è materia del cuore, dell’istintività e della passione che abbiamo verso la 


vita stessa, lo sguardo con cui spesso guardiamo al passato dovrebbe smuovere la nostra coscienza e capacità osservativa, da esercitare con la mente.

Questa carta può essere vista in continuità con quella precedente se pensiamo che La Giustizia rimanda in un certo senso al concetto di reincarnazione e alla Legge del Karma, attraverso cui le esistenze reagiscono e si muovono nel tempo. L’eremita infatti è un uomo che ha terminato la sua esperienza (la sua vita) e, si appresta a vagliare, con minuziosa attenzione, gli errori e i progressi fatti nel corso dei suoi anni. Curioso notare che, nel farlo, esso stia paradossalmente “tornando indietro” e apprestandosi a ricominciare una nuova esistenza, con coscienza e consapevolezze rinnovate.
Se si leggesse questo arcano da una prospettiva “momentanea” come fosse l’istantanea di un momento di vita, penso si potrebbe, in questi simboli, il processo stesso di elaborazione del lutto. Il distacco, la perdita di una persona cara quasi sempre provoca un dolore sordo che ricorda lo sfondo buio e tetro di questa carta. Eppure una piccola scintilla di calore affettivo rimane e non si spegnerà né raffredderà mai, e questo fuoco interiore genera una spinta istintiva a tornare indietro, cullandoci nei ricordi, e a riaprirci agli altri, scoprendo ben presto che insieme a loro è anche possibile condividere il dolore, nonché il futuro che verrà.
Tirate le somme, questo è il (duplice – come sempre) significato dell’arcano: da un lato distacco dalla vita sociale e allontanamento dagli altri, freddezza e rigidità, ma anche introversione, isolamento e solitudine; dall’altro lenta progressione, profonda crescita personale e “ritorno AL” passato, sui propri passi, o “ritorno DAL” passato del “figliol prodigo”; in ogni caso, un ritorno carico di nuove aspettative, di nuova energia e consapevolezza capaci di generare, pur nella loro profonda lentezza, un cambiamento -solo così- realmente profondo.



Cosa ci racconta l’Eremita? Che i momenti di silenzio, anche quelli più freddi e bui, sono propedeutici all’ascolto interiore. La chiusura in sé stessi, il distacco dal mondo e l’allontanamento dagli altri possono denotare una nostra sofferenza interiore, capace però di generare una nuova conoscenza di sé.
E cosa ci insegna, questo anziano viandante, sulla via del ritorno? Che non importa quanta luminosità ci sia intorno a noi. La Luce che conta realmente è quella interiore: essa è capace di illuminare i nostri passi in ogni momento, verso la nostra rinascita.

Buon proseguimento di questo Percorso Profondissimo…  

Lucia G.